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Occorre ricordare la storia naturale della nostra specie, legata a questo pianeta, dove le leggi della natura governano il nostro futuro. Nei parchi sono leggi visibili, raccolte nelle culture stratificate del territorio. I parchi sono allora anche un fatto di cultura, che ritroviamo nel senso di chi abita un luogo, tradotto in paesaggio, e dove insieme alle dinamiche dell'abitare si muovono vita ed economia. Abbiamo bisogno di rinnovare allora il nostro modo di parlare di aree protette e di natura, con nuove visioni e un nuovo modo per comunicarle.

Paesaggi dormienti o viventi? Creatività per rilanciarli.

Parlando all’incontro DEGUCRE al Museo del Desing di Galliano Habitat lo scorso 30 novembre 2011 tra imprenditori, creativi, designer, architetti e progettisti sui temi del design, creatività, impresa e cultura della formazione come strumenti in grado di rinnovare le sinergie del territorio e di stimolare processi di sviluppo in ambito sociale ed economico, ripensando ad alcuni principi della cultura di progetto e delle politiche socio-industriali, ho potuto avere occasione di riproporre alcune esperienze costruite nel tentativo di creare innovazione nei processi di territorio, per fornire scenari nei quali dare vita e proposte di sviluppo, che coinvolgano i diversi attori presenti.contributo GHabitat.
E le parole che mi sono tornate in mente sono state anche quelle di Paolo Castelnovi che nel suo interessante contributo “Camera con vista”  ha racchiuso:
“Nei casi virtuosi già in atto i progetti di sviluppo locale e di miglioramento della qualità della vita si sono sempre innescati realisticamente nelle condizioni storiche e culturali specifiche, caso per caso. Ma se l’attenzione ai luoghi comincia a diffondersi, sinora nelle strategie per il paesaggio è mancata l’attenzione per le dinamiche temporali, le condizioni evolutive del rapporto tra fruitori e luoghi. Per esemplificare cosa si intenda per condizioni paesistiche evolutive proviamo ad abbozzarne alcuni tipi, relativi a diversi stadi dell’atteggiamento verso le risorse e il territorio:
– il paesaggio addormentato, in trasformazione solo per processi di abbandono, trascurato nella sua manutenzione e in via di obliterazione nella memoria collettiva, anche se ancora dotato di risorse organiche e con una base materiale integra, che attende la comparsa di soggetti vitali per rimettere in moto processi economici; caratterizza i contesti dei centri storici abbandonati, delle reti di risorse culturali non emergenti, delle fasce rurali ritenute prive di chances economiche, con comunità abitanti ridotte al minimo e flussi di visitatori di nicchia;
– il paesaggio shangri-là, poco dotato di risorse di interesse generale, senza emergenze, nascosto ai flussi e poco comunicante con i territori vicini e con i “forestieri”, con uno stabile rapporto tra luoghi e abitanti, esclusivo rispetto alle novità (i luoghi possono anche profondamente modificarsi senza alterare i comportamenti bloccati degli abitanti); caratterizza le aree di pianura o di collina poco significative, spesso toccate dallo sprawl insediativo e dai processi di industrializzazione ma prive di una struttura urbana completa e distanti dai grandi flussi;
– il paesaggio consapevole, di dimensione e rilevanza delle risorse identitarie adeguate alla comunità allargata, cioè da una parte leggibile e utile per il senso di identità personale dei nuovi abitanti o dei visitatori, almeno nei suoi riferimenti simbolici, e d’altra parte capace di mantenere la propria identità storica metabolizzando il confronto con altre culture; ha un ritmo evolutivo di tipo inclusivo, in cui procedono di pari passo la considerazione culturale dei luoghi e la trasformazione dell’assetto fisico; caratterizza brevi periodi felici dell’evoluzione dei paesaggi urbani, quando le dinamiche culturali della comunità abitante corrispondono alla capacità adattativa di produrre segni e comportamenti equilibrati tra identità e novità;
– il paesaggio stressato, complesso e contraddittorio, prodotto anarchico di intenzioni sovrapposte e di processi degradanti il patrimonio precedente, in continua evoluzione, generatore di sensi di spaesamento che spesso affliggono le situazioni periurbane o con sviluppo insediativo recente;
– il paesaggio da inventare, definito per assenza: privo di identità e di utenza, prodotto da usi privatistici spesso degradanti le risorse materiali e da trasformazioni nascoste e lontane dall’immaginario collettivo; caratterizza i grandi insediamenti dominati da attrezzature industriali o logistiche, le aree abbandonate, i territori residuali tra paesaggi non inclusivi.

Quindi tra addormentati, nascosti, consapevoli, stressati o in cerca d’autore … i tanti paesaggi del quotidiano formano la tastiera sulla quale abbiamo da cimentarci per rilanciare utilità e significati per il nostro senso dell’abitare: e nel dibattito ad GH la formula evocata di Poincaré C=NxU (creatività uguale nuovo per utilità)  stimola e ci spinge a pensare che per un nuovo Rinascimento a cui molti oggi guardano, sia necessario riprendere il pensiero dalla sua base e innovare anche le nostre forme di approccio al territorio. articolo su formula di Poincaré

Pubblicato il da Ippolito Ostellino | Lascia un commento

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