Riflessioni di sfondo sui parchi
Il recente scritto di Giuseppe Rossi Commissario del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e di Luigi Piccioni, nella sua recensione dell’ultimo libro di Renzo Moschini sui parchi (www.eddyburg.it/2013/03/neoliberismo-e-tutela.html ), sono entrambi testi che vanno letti.
Per questo senza ulteriori commenti li pubblico qui sul Blog, – il primo di seguito e il secondo con il link al sito di www.eddiburg.it – per consentire un rilancio nei nostri pensiero intorno ai parchi, perchè in queste parole ritroviamo, attualizzate, le ragioni dei parchi con le quali occorre confrontarsi per ascoltare ed esaminare l’articolato dibattito che intorno ad essi si sta aprendo, dibattito non più solo su natura e conservazione ma su nuovi temi che confinano con l’etica e le ragioni di una nazione.
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Parchi beni comuni
Stiamo vivendo un’importante fase di transizione. Transizione politica, transizione sociale, transizione economica. Oserei dire anche transizione etica.
Giuseppe Rossi
Mentre la crisi economica e del debito distrugge tanta ricchezza italiana ed europea, lo stesso concetto di “crisi” inizia a riconquistare il suo significato originario: “cesura, discontinuità, conflitto, mutamento, opportunità, scelta”. Sembra la dialettica della riflessione, del pensiero, dell’urgenza di una presa di posizione, dell’imbocco di un cammino di fronte a una drammatica incertezza. Negli ultimi mesi nel nostro Paese e altrove, in Europa e nel mondo, soprattutto nelle Americhe, sta rifiorendo un pensiero critico sulla società, sul nostro cosiddetto modello di sviluppo, sul che fare delle nostre vite, delle nostre collettività, dei nostri corpi sociali e politici.
Anche noi amministratori di Aree naturali protette, “tecnici” della protezione della natura, da alcuni mesi siamo tornati a riflettere sul nostro lavoro, sul suo senso, sul suo scopo, sui suoi orizzonti. Ciò è stato fatto sia più immediatamente immaginando percorsi di riforma che riguardino la Legge quadro 394 del 1991 , sia più in generale pensando a come inserire il pensiero e l’azione della conservazione della natura, portati avanti in questi anni nei parchi nazionali e regionali e nelle riserve naturali, dentro un quadro culturale più ampio, dentro un agire sociale e politico nuovo, in un ottica ambientalista più moderna, che guardi lucida al futuro sia italiano sia europeo.
Come amministratori e “tecnici” della Aree naturali protette italiane abbiamo avuto finora, a mio parere, uno sguardo troppo corto e troppo “nostro”. Abbiamo dialogato poco con altre realtà culturali italiane, con altre battaglie, lotte, idee, pensieri, realtà civili che in questi anni sono fiorite, spesso dentro i territori, di sicuro al riparo dagli sguardi distratti dell’opinione pubblica e di una politica nazionale per lo più indifferente ai temi ambientali, che al contrario in Europa divengono di giorno in giorno sempre più urgenti e vividi nella coscienza collettiva.
Ovunque in Italia in questi anni è nata una coscienza ambientale, a volte ricca, forte, lucida, altre volte un po’ più localistica, ma sempre autentica, vera. È con essa che dovremmo dialogare, è all’interno di questo contesto culturale e sociale che dobbiamo rilanciare il nostro discorso della protezione della natura e dei parchi.
C’è un concetto che è stato tematizzato con grande ricchezza in questi ultimi anni: i “beni comuni”. I “beni comuni” sono emersi con vigore all’opinione pubblica con i referendum sull’”acqua bene comune” del giugno 2011. Da allora è stato un fiorire di pensiero, scritture, dialogo, dibattiti, azioni popolari, partecipazione collettiva della società civile. Ma la riflessione contemporanea sui beni comuni parte da più lontano e nasce soprattutto all’interno dei lavori della cosiddetta Commissione Rodotà, che tra il 2007 e il 2008 ha lavorato a un progetto di disegno di legge delega per la riforma dei beni pubblici.
Ma l’idea di una Commissione che lavorasse in tal senso è anche precedente, del 2003. Alla Commissione Rodotà hanno lavorato e collaborato tra i più insigni giuristi ed economisti italiani: Stefano Rodotà, Sabino Cassese, Antonio Gambaro, Gaetano Azzariti, Ugo Mattei, Salvatore Settis, Paolo Maddalena, Edoardo Reviglio, Marcello De Cecco, Giacomo Vaciago.
All’art.1, comma 3, lett.C dello schema di disegno di legge c’è scritto: «sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate».
Tutto ciò, è evidente, ci riguarda profondamente, sta al cuore del nostro lavoro nei parchi e nelle riserve naturali, in generale nella storia dell’ambientalismo italiano e occidentale.
Il concetto di “beni comuni” è fondamentale, perché esso viene intriso con la ragione stessa della democrazia e della Costituzione repubblicana, ovvero con l’esercizio dei diritti fondamentali della persona: «i beni comuni esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona.
I beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future».
Lo riconosciamo, è il nostro linguaggio, è lo stesso nostro progetto culturale e democratico.
La Commissione individua le risorse naturali e ambientali come beni comuni soprattutto in considerazione del fatto che esse «stanno attraversando una drammatica fase di progressiva scarsità».
L’introduzione della categoria dei beni comuni, così come il ridisegno generale delle norme in materia di beni pubblici, si rende necessario per introdurre una «nuova filosofia nella gestione del patrimonio pubblico, ispirata a criteri di efficienza», ciò date le condizioni di criticità di gran parte dei bilanci pubblici europei, e soprattutto per stabilire una scala di priorità di ordine politico, etico, culturale, giuridico.
Ovvero, in un contesto storico e socioeconomico in cui «governi pro tempore potrebbero cedere alla tentazione di vendere beni del patrimonio pubblico», si rende fondamentale vedere con chiarezza quali beni siano irrinunciabili all’esercizio della democrazia, dei diritti, per la stessa rispondenza delle leggi e delle azioni dei governi ai principi della Costituzione.
Per questa ragione la Commissione ha introdotto un’innovazione importantissima e molto feconda: «classificare i beni in base alle utilità prodotte, tenendo in alta considerazione i principi e le norme costituzionali e collegando le utilità dei beni alla tutela dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali».
I beni comuni in particolare, tra cui i parchi, la fauna selvatica, gli habitat naturali ad alto tasso di biodiversità, le risorse naturali, il paesaggio, «soffrono di una situazione altamente critica, per problemi di scarsità e di depauperamento e per assoluta insufficienza delle garanzie giuridiche». Esprimendo, come già detto, «utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona», per essi «si è ritenuto di prevedere una disciplina particolarmente garantista, idonea a nobilitarli, a garantirne la fruizione collettiva, compatibilmente con l’esigenza prioritaria della loro preservazione anche a vantaggio delle generazioni future» (Relazione di accompagno al disegno di legge delega).
Quest’approccio culturale ed etico è rivoluzionario: per la prima volta si sta dicendo che habitat naturali intatti, risorse naturali preservate, parchi, fauna, flora, boschi, paesaggio sono beni necessari alla democrazia, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona, ovvero li si colloca nel cuore del dettato della Costituzione della Repubblica. In particolare, ad essi si sta dando anche un ruolo centrale per garantire quei valori di “utilità sociale”, “funzione sociale”, “interesse generale”, “utilità generale” che informano vividamente gli articoli più belli della Costituzione, e che ci giungono inoltre da una storia culturale densa, prima classica, poi medievale e moderna, come ci ricorda con sempre maggior vigore e passione civile Salvatore Settis.
Inoltre, da un punto di vista culturale più generale, finalmente anche da noi, possiamo dirlo, anche ai livelli più alti della coscienza pubblica, fiorisce la consapevolezza di un necessario orizzonte condiviso tra le comunità, le democrazie, le società e la natura, gli habitat naturali che le accolgono.
«La comunanza dei destini dell’uomo e della natura, riscoperta nel pericolo, ci fa riscoprire anche la dignità propria della natura, imponendoci di conservarne l’integrità» per citare Hans Jonas.
Questa consapevolezza è cresciuta sempre più negli ultimi anni, soprattutto tra la società civile, che sempre più spesso si è trasformata in cittadinanza attiva a difesa dei beni comuni e dell’intreccio di relazioni sociali e umane di ineguagliabile valore e bellezza che tali beni rendono possibili.
Sono nati ovunque comitati, collettivi, reti di cittadini a difesa del paesaggio, di beni culturali e storici, di ambienti con ricchissime stratificazioni di diversità ecologica e culturale, movimenti, lotte, alleanze, associazioni di comuni virtuosi che fanno della sensibilità ambientale e della democrazia il cuore delle loro agende etiche e politiche.
I parchi, le aree naturali protette, terrestri e marine, le nostre storie ed esperienze devono dialogare con queste realtà, declinare nuovamente la loro cultura e competenza in termini di diritto vivo, di impegno civile e pratica pubblica.
Così i parchi ritroveranno slancio, respiro, un nuovo sguardo per vedersi al centro della vita democratica dell’Italia e dell’Europa.