Ambiente: meno Stato, più danni
Il bilancio dello stato nelle sue ristrettezze finanziarie sarebbe alla base dei tanti disastri ambientali; le alluvioni, i crolli di Pompei, la chiusura dei parchi ormai alla canna del gas.
Ora non v’è dubbio che l’indebitamento del paese ci costringe a molti tagli. Quello che non è vero è che qui si troverebbe con la risposta anche la giustificazione dei tanti misfatti che sono sotto i nostri occhi.
Ed è di questo che una buona volta bisogna cominciare a discutere seriamente e senza scuse, furbizie e ipocrisie. Perché la crisi del governo del nostro territorio, della legge sulla protezione del suolo, della gestione dei nostri parchi, del paesaggio non ha inizio con i tagli di Tremonti, di Bondi e della Prestigiacomo.
Ha inizio con la scelta –quella si ideologica- che per fare bene le cose ci vuole meno stato.
Che significa meno presenza e ruolo delle istituzioni, meno regole, meno etica, più abusi e condoni, più cementificazione con più danni al paesaggio e alle nostre bellezze non solo naturali, più inquinamento e rifiuti.
Meno stato, istituzioni e regole perché il mercato e l’economia debbono poter fare quel che vogliono. Questa è stata la scelta.
La pianificazione, la programmazione, i piani dei bacini come dei parchi come le tutela del paesaggio possono perciò solo costituire intralcio, ingombro di cui si è cercato in tutti i modi di liberarsi e comunque anche quando e non sempre sono stati fatti ci si è
badati bene dal sostenere e finanziare. E perché le cose fossero sempre più chiare le norme più serie e rigorose le si è smantellate e comunque ridimensionate come quando si è tolto ai piani dei parchi il paesaggio che torna così alle sopraintendenze.
Così lo stato ha fallito il suo compito tanto che ha dovuto farsi carico anche dei debiti e disastri del mercato.
Oggi che economia e ambiente sono due facce della stessa medaglia bisogna recuperare allo stato quel ruolo di guardiano, di arbitro e armonizzatore che al mercato non può lasciare di fare sempre e comunque i suoi comodi di cui noi, l’ambiente e l’economia paghiamo i danni.
Il lavoro avviato dal gruppo di San Rossore ha questo scopo. E a questo è dedicato il contributo ‘Ambiente; meno stato più danni’.
Concordo pienamente sulla necessità di far tornare lo Stato come gestore supremo delle Aree protette.
Mi piacerebbe che si tornasse a quell’Ente Parco Autonomo di … dove in quell’autonomo sta l’essenza della gestione.
E’ giusto purchè sia chiaro che per Stato si intendeno i diversi soggetti istituzionali che in ‘leale collaborazione’ che ora non c’è nè punto nè poco gestiscono su un piano di pari dignità il parco senza prearcazioni e pertese gararchiche di stampo burocratico
Renzo Moschini
Sia pure con ritardo -e me ne scuso-vorrei rispondere a Pisarra sul ritorno allo Stato della suprema gestione delle Aree
protette. Lo stato ha da sempre questa gestione tanto è vero che è lo stato che ha deciso di togliere la pianficazione paesaggistica ai parchi come è lo stato -ossia il governo- che ha impugnato leggi regionali istitutive di parchi fluviali perchè il piano prevedeva un piano generale come fissato dalla legge 394 e ancor prima dalle leggi regionali come quella del Piemonte.
E’ proprio per questa gestione centralistica che agli enti parco è venuta a mancare quella autonomia che per essere tale presuppone ‘leale collaborazione’ istituzionale venuta meno da anni.