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Aree protette: una conquista di civiltà, un indice di progresso, una grande risorsa per il futuro.
Occorre ricordarlo.

Paesaggio Costituzione cemento – La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Einaudi)

È l’ultimo libro di Salvatore Settis. Oltre 300 pagine che raccolgono contributi diversi ma tutti legati da un filo rosso sulle vicende storiche,  culturali e legislative di una vicenda oggi come non mai di drammatica attualità.
Di particolare interesse e novità è sicuramente la ricostruzione di come l’assemblea costituente giunse tra non pochi contrasti e polemiche alla approvazione dell’art. 9 della Costituzione. Articolo, come Settis non manca naturalmente di sottolineare, anche con piglio polemico di grande attualità rispetto alla attuazione del nuovo titolo V della Costituzione che ha alimentato e alimenta vivaci controversie e fermo al palo però dal 2001.
Se “Il Bel paese maltrattato” –Viaggio tra le offese ai tesori d’Italia –, il recente libro di Roberto Ippolito (Bompiani) offre uno spaccato impressionate e sconfortante delle fin troppe Pompei di questo Paese, il libro di Settis mette ancora una volta a fuoco le “cause” più di fondo; politiche, culturali e soprattutto istituzionali e normative. Una riflessione a tutto campo estremamente severa e senza peli sulla lingua sul mancato governo del territorio in cui all’urbanistica – ma non alla pianificazione urbanistica – è stato permesso tutto con pesante corresponsabilità bipartisan. E se allo Stato e al ministero dei Beni culturali Settis non fa sconti, come ben sappiamo anche dai suoi pungenti interventi sulla stampa; il bersaglio principale resta l’incapacità complessiva delle istituzioni, nessuna esclusa, di mettere a regime politiche che evitino una continua controversia con sempre più frequenti ricorsi alla Corte costituzionale che risultano spesso paralizzanti e tali da alimentare altri litigi e controversie. Se lo Stato e il ministero dei Beni culturali e paesaggistici come anche qui Settis ben documenta si porta la sua rilevante parte di responsabilità le regioni non sono da meno. Naturalmente con differenze come risulta chiaramente dalle legislazioni regionali che anche nelle situazioni migliori o che lo erano si sono spesso però fatte prendere la mano da tentazioni contestatarie per puntare su scelte che lasciando sovente mano libera ai comuni hanno rinunciato a programmazioni regionali degne di questo nome. È accaduto anche in Toscana con il PIT di cui non a caso si è tornati da poco a ridiscutere. Da qui i giudizi severi sul nuovo titolo V considerato “assai infelice” (ma altrove definito addirittura “sciagurato”) che fornirebbe nuove munizioni per quella “raffica regionalista” che tanto temeva Concetto Marchesi alla Costituente da spingerlo e rivendicare senza incertezze che la nostra Carta prevedesse nella maniera più chiara e precisa la competenza esclusiva dello Stato sul paesaggio per evitare, appunto, indigesti spezzatini regionali. E dal momento che la Repubblica non si “riparte” più in regioni ed enti locali ma è “costituita” da regioni ed enti locali verrebbe meno, secondo Settis, quell’argine fondamentale a una disordinata e caotica gestione del paesaggio e più in generale del territorio e dell’ambiente di cui stiamo già facendo e gravemente le spese. A questo rovinoso approdo si sarebbe giunti in ragione di quel prolungato braccio di ferro tra stato e regioni iniziato assai dopo rispetto ai timori di Marchesi perché le regioni fino al 1970 di raffiche anche volendo non avrebbero potuto spararne. Da allora prende avvio, secondo Settis, quel clima quasi da assalto alla diligenza statale da parte delle regioni di cui egli fornisce numerosi esempi dai decreti del dpr 616 a molti altri provvedimenti che avrebbero reso sempre più difficile fissare le linee di confine tra ambiente, paesaggio e territorio se di confine si può parlare ( torneremo su questo punto più avanti). Comincia così quel “progressivo spostamento dell’asse” della tutela di cui oggi registriamo una pericolosa impennata.
Si tratta di una valutazione molto critica che coglie innegabilmente un dato che purtroppo come abbiamo appena detto è andato via via aggravandosi. Devo dire tuttavia che questa raffigurazione di una fase innegabilmente complessa non fu connotata unicamente da queste sguaiate controversie tra stato e regioni con queste ultime nei panni di chi pretendeva di portarsi a casa anche quanto non gli competeva. Ho avuto in un certo senso la fortuna di vivere quella fase, possiamo senz’altro dire stagione istituzionale prima come amministratore comunale e provinciale e poi come parlamentare in commissione affari costituzionali della Camera e in commissione bicamerale per le questioni regionali impegnata fra le altre cose in una indagine sulle regioni speciali e devo dire che non si può ridurre tutto ad una sorta di “fatti più là” tra stato e regioni. Il braccio di ferro ci fu naturalmente e si ripresentò ogni qualvolta si dovette o si sarebbe dovuto decidere non tanto e non solo su come ripartire le competenze fino a quel momento interamente statali, ma soprattutto come stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto spingersi su quei terreni nuovi che allora si andavano delineando e non soltanto nel nostro Paese: inquinamento, suolo, la legge Merli, la legge 183, quella sul mare, e poi sui parchi e così via con la istituzione del ministero dell’Ambiente tutte cose che naturalmente Settis ricorda e per molti versi ripercorre ma che sembrano connotarsi prevalentemente per la rissosità piuttosto che per la faticosa ricerca di un nuovo equilibrio indispensabile per tutti. Si, perché il braccio di ferro non riguardò tanto, o soltanto, l’assetto consolidato ma anche, e talvolta soprattutto, le nuove responsabilità che specialmente in campo ambientale stato, regioni ed enti locali erano per la prima volta chiamati a “immettere” nei propri ruoli. Il che implicava anche una nuovo assetto, per esempio, ministeriale e non solo per quanto riguarda i ministeri nuovi come  l’Ambiente ma anche quelli tradizionali, per esempio Agricoltura che fino a quel momento aveva gestito i parchi o quello della marina mercantile che poi avrebbe dovuto farsi da parte e non soltanto per le aree protette marine che per la prima volta entravano in scena tra molti mal di pancia. Ricordo una polemica rovente con il ministro Mannino proprio su questo punto dove lo stato non intendeva fare nessun passo indietro abbarbicato ad un centralismo che di danni ne aveva già fatti tanti e non solo a mare e sulle coste. Si tratta in sostanza di vicende la cui lettura non può essere affidata unicamente a come i vari soggetti istituzionali intendevano spartirsi le competenze consolidate ma come queste dovevano misurarsi con una realtà che vedeva paesaggio, ambiente e territorio chiamati a misurasi con profonde trasformazione la cui risposta non poteva venire solo da una accorta ripartizione di ruoli. E vengo così ad un aspetto sul quale da tempo Settis anche come protagonista di quei nuovi codici sui beni ambientali e paesaggistici di cui anche qui egli torna a tessere le lodi in quanto lo stato si vede pienamente riconosciuto quel ruolo che le regioni cercano invece in tutti i modi di sottrargli. Ho già ricordato che Settis riconosce chiaramente che oggi è impresa ardua stabilire dove finisce l’ ambiente e inizia il paesaggio e poi il territorio. Il piano dei parchi in base alla legge 394 del 91 ma giù prima molte leggi regionali inclusa quella toscana avevano saldato e raccordato questi diversi aspetti come è felicemente avvenuto in molte situazioni anche a noi vicine come con il piano Cervellati per San Rossore. Avere sottratto il paesaggio al piano per ricondurlo comunque in altra sede può giovare a chi? Qui ciò che conta, infatti, non è a chi è finita questa titolarità ma perché si è operata questa scissione. Qui ciò che è venuta meno – e non è certo il solo caso – è quella “leale collaborazione” istituzionale indispensabile in una Repubblica che si “riparte” come recita il nuovo titolo V ma che non era meno determinante prima. La leale collaborazione non è mai piaciuta molto allo stato centralista e non solo al ministero dei Beni culturali come di quello dell’Ambiente e spesso neppure alle regioni. E se la raffica regionalista fa danni quella statalista non ne fa di meno. La fase attuale – e questo emerge chiaramente in tutta la sua drammaticità dal libro di Settis – è particolarmente confusa e arruffata e la soluzione non può certo essere ricercata e trovata con nuove sfide a braccio di ferro spesso volte a trovare penose giustificazioni per i disastri avvenuti piuttosto che a evitarli. Essere ottimisti di questi tempi non è facile ma rinunciare a provarci sarebbe colpevole.

Pubblicato il da Renzo Moschini | Lascia un commento

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