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Aree protette: una conquista di civiltà, un indice di progresso, una grande risorsa per il futuro.
Occorre ricordarlo.

La crisi dell’ambiente; su come uscirne manca ancora la necessaria chiarezza

Sulle condizioni del ‘creato’ non mancano certo, specie dopo le parole del papa, gli allarmi e le diffuse denunce e preoccupazioni. E tuttavia le risposte presentano ancora zone d’ombra e non solo i troppi silenzi della politica e delle istituzioni. In più d’un caso sul banco degli imputati ci sono le leggi nazionali e regionali unitamente a direttive e disposizioni comunitarie e internazionali che ci vedono peraltro spesso inadempienti e per questo sanzionati anche con multe salate. E qui ovviamente le responsabilità delle istituzioni nazionali, regionali e locali nonché anche comunitarie appaiono fin troppo evidenti; vedi l’agricoltura. Come lo sono i ritardi e le sordità  quando persino il voto dei referendum finisce nel dimenticatoio o –peggio-si tenta addirittura di stravolgerne il senso.

La consultazione per la prima volta nella storia del nostro paese delle rappresentanze ambientaliste per la formazione del nuovo governo costituisce innegabilmente una importante e significativa novità.

Resta tuttavia ancora troppo in ombra un aspetto singolare e cioè che i comparti maggiormente esposti oggi ad una crisi innegabile e gravissima, vedi il suolo, il paesaggio, la natura sono da anni regolati e normati da leggi nazionali e spesso regionali estremamente innovative e coerenti con la nostra Costituzione, grazie alle quali anche il nostro paese si era messo tardivamente al passo con gran parte dei paesi europei. Difficile, infatti, disconoscere che con la legge 183 ci si era dotati di strumenti e modalità operative e gestionali del suolo di grande incisività. Alla stessa stregua il paesaggio con alle spalle l’art 9 della costituzione poteva contare su un riconoscimento di prim’ordine. Dal 1991 con la legge quadro sui parchi anche le nostre aree protette registrarono una crescita incontestabile testimoniata da cifre di tutto rispetto. E tuttavia, proprio in questi ambiti che hanno peraltro ricevuto significativi e importanti riconoscimenti  sovranazionali,   si sono registrati negli ultimi anni e soprattutto negli ultimissimi delle vere e proprie cadute al limite del default. E non può perciò sorprendere che in tanti movimenti, comitati, associazioni che hanno fatto sentire la loro voce anche nella recente campagna elettorale abbiano appuntato la loro attenzione, denuncia, protesta e talvolta anche proposta su questi aspetti cruciali.

A confermare questa pericolosa deriva non mancano certo i dati, le cifre, diciamo pure le prove anche se queste sono state sempre meno fornite quando non occultate dalle stesse istituzioni parlamento incluso; basti pensare -tra i tanti esempi- alla relazione annuale sullo stato dell’ambiente del ministero dell’ambiente prevista dalla legge 394 e da anni non presentata senza che nessuno abbia battuto ciglio. Così, quando ormai specialmente in certi ambiti non era più possibile far finta di niente –vedi i parchi e le aree protette, ma anche il suolo e il paesaggio – anziché  farsi carico politicamente e istituzionalmente delle responsabilità si è preferito dare la colpa alle leggi che avrebbero impedito o quanto meno reso molto difficile stare al passo con i tempi. Da qui –il caso più clamoroso è sicuramente quello dei parchi e delle aree protette, ma già prima lo si era fatto mettendo mano sia alla legge 183 e  al codice dei beni culturali – si è dato la colpa alla legge che urgeva modificare. Dimenticando furbescamente che quella legge era già stata modificata e non revisionata in base alla riforma Bassanini, il che aveva lasciato mano libera al ministero che ha potuto fare i suoi comodi in maniera indisturbata a partire dalle aree protette marine. Si vedano al riguardo le proposte che Federparchi sulla base del progetto Coste Italiane Protette (CIP) avanzò oltre un decennio fa e che furono presentate alla seconda Conferenza Nazionale dei parchi di Torino.

Vorrei qui concedermi una piccola digressione per rilevare che a differenza di altre stagioni oggi sono davvero poche le analisi, le documentate ricerche anche fuori dalle istituzioni sulla condizione,ad esempio, dei parchi e delle aree protette. Altre volte ho ricordato la rivista Parchi, il Centro Studi Giacomini di Gargnano  – ma riguardano il passato- oggi, fatti salvi i contributi del WWF, Legambiente e non molti altri, solo la Collana  editoriale dell’ETS fornisce sul tema a partire dall’Europa per approdare alla pianificazione, alle aree protette marine, al paesaggio contributi e approfondimenti degni di nota.

Torniamo al punto; ora anche il risultato elettorale ha reso naturalmente più complicato il rilancio di questi temi dei quali si era discusso già poco in campagna elettorale come tanti avevano e hanno denunciato. Non per questo possiamo accantonarli, specie dopo le consultazioni di Bersani, in attesa di tempi migliori.

E dobbiamo partire sgombrando il campo innanzitutto da quello che si sta configurando già come un equivoco carico di ambiguità e rischi. Mi riferisco all’idea che la soluzione oggi dopo tanti ritardi ed errori sta tutta nella green economy.

E’ un coro pressoché unanime con i suoi riferimenti più comuni; nuove energie, minore consumo del territorio etc. Tutte cose naturalmente sacrosante per uscire da una crisi economico-finanziaria che ha fatto  danni incalcolabili  all’ambiente; vedi per tutti l’ILVA. Tra i servizi più recenti quello dell’Espresso che ha intervistato anche l’ex ministro Ronchi che ha citato ovviamente le energie alternative, i rifiuti e lì si è fermato pur avendo avuto anche dirette –e non sempre encomiabili- responsabilità- nella gestione dei parchi e delle aree protette.

L’equivoco e l’ambiguità di questa impostazione sta chiaramente nel fatto che il cambio di marcia dell’economia -urgente quanto mai – è una importante ma non sufficiente condizione- per una nuova politica ambientale che guardi in modo nuovo ai beni comuni ossia al suolo,al paesaggio, alla natura. Ambiti con i quali anche le green economy dovrà misurarsi; vedi per tutti l’eolico ma anche le biomasse e l’droelettrico, già oggi oggetto di polemiche e contrasti la cui soluzione è possibile solo se sapremo ricondurle a quella gestione ambientale del governo del territorio a cui aveva mirato il nuovo titolo V della Costituzione anch’esso travolto dagli eventi.  Quell’obbiettivo, ossia un governo del territorio incentrato sulla leale collaborazione istituzionale tra stato, regioni ed enti locali ha finito solo per rilanciare una competizione paralizzante tra chi doveva programmare d’intesa quelle nuove politiche del suolo, del paesaggio e della natura. E l’insuccesso non è dovuto alle leggi ma alle politiche sbagliate che delle leggi si sono sovente anche bellamente infischiate, specie quella dei parchi e delle aree protette.

Pensare che ora si debba e si possa ripartire da lì -a prescindere anche dalla situazione politico-istituzionale- è un pura sciocchezza, anzi un regalo a chi non vuole cambiare musica e menarsela con gli emendamenti più balordi.

Il Gruppo di San Rossore per questo è impegnato a rimettere con i piedi per terra una politica che rischia ancora una volta di sbrindellarsi sotto l’incalzare frammentato e settoriale mentre ha bisogno finalmente di ritrovare quel terreno programmatorio e pianificatorio che nelle leggi c’era e c’è ma non nelle politiche.

Tanto più urgente e indispensabile perchè anche l’area dei beni comuni che come è stato detto appartiene a tutti e a nessuno e quindi non rientra interamente né nel pubblico né nel privato trovi forme e strumenti di gestione anche nuovi. Un aspetto che rientra per molti versi in quella politica dei parchi e delle aree protette che deve guardare oltre i propri confini come anche congressi internazionali da tempo hanno posto con forza.

In sostanza una proiezione delle politiche di tutela che le immetta anche all’esterno dei propri confini il cui fondamentale presupposto è che le fin troppe tipologie di gestione delle aree anche nel nostro paese si raccordino e si integrino. Il che richiede

innanzitutto la messa in rete di un sistema nazionale e comunitario di parchi e aree protette fra stato e regioni dalle Alpi all’Appennino, al Santuario dei cetacei oggi del tutto inesistente.

Temi a cui vorremmo dedicare una riflessione comune aperta naturalmente a tanti soggetti istituzionali e non interessati.

Pubblicato il da Renzo Moschini | Lascia un commento

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