Sui parchi serve maggiore chiarezza
Seppure ancora con fatica anche sui temi ambientali per iniziativa dei ministri dell’ambiente e dei beni culturali cominciano a delinearsi e concretizzarsi impegni e iniziative. Era ora. Tornano così in agenda questioni delicate dall’inquinamento alle bonifiche, dai rifiuti alle energie rinnovabili, dal consumo del territorio al paesaggio.
Restano tuttavia sullo sfondo e spesso confusi aspetti che grazie anche all’incalzare di movimenti e comitati come quelli protagonisti dei referendum sull’acqua riguardano le politiche di programmazione e il ruolo di un sistema istituzionale alle prese con nodi costituzionali delicatissimi –vedi le province- che sembrano riguardare esclusivamente i ‘costi’ e non il funzionamento del governo del territorio.
Tra queste questioni -come registrammo nell’incontro come Gruppo di San Rossore con il ministro Orlando- è tornato in agenda anche il tema dei parchi e delle aree protette in riferimento soprattutto -ma non solo- al paesaggio e a talune scadenze comunitarie e internazionali.
Qui più che per altri ambiti lo stesso ministro avverte l’esigenza di rimettere a fuoco una riflessione generale su cui da tempo è calata la tela sia sul piano nazionale che regionale. Al punto che dopo aver ipotizzato in sede ministeriale persino l’ abrogazione dei parchi regionali e pensato a forme di ‘privatizzazione’ di quelli nazionali mentre il paesaggio veniva cancellato dalla legge quadro all’indomani della firma della Convenzione europea, si era scaricata la responsabilità sulla legge 394 sottoposta al Senato ad una vera e propria manomissione ignorando qualsiasi responsabilità ‘politica’ governativa e regionale.
Sono note le recenti e pesanti critiche della Corte dei Conti sui parchi nazionali che in rari casi sono riusciti a dotarsi di seri piani e persino a utilizzare –come il Gargano- le risorse disponibili. Comunità dei parchi che non sono neppure riunite da tempo mentre l’unica cosa che cresce è il contenzioso e la conflittualità costosi e paralizzanti anche in sede regionale e non soltanto ministeriale. Di programmazione e pianificazione pur in presenza di urgenti esigenze di mettere in rete con i parchi e le altre aree protette terrestri e marine anche i siti comunitari specie di Rete Natura 2000 nessuno o quasi parla. Tanto meno in quelle relazioni ministeriali annuali di cui da tempo immemorabile si sono perse le tracce. L’abrogazione delle province non faciliterà sicuramente le cose se teniamo conto che esse assai di più e meglio delle comunità montane hanno in molte realtà regionali contribuito significativamente a far decollare con i loro piani territoriali di coordinamento quella ‘leale collaborazione istituzionale’ di cui sul piano nazionale non resta traccia come conferma il ‘fallimento’ del nuovo titolo V della Costituzione. Eppure in questa situazione in cui giustamente il ministro Orlando richiama non solo le istituzioni ma anche le forze politiche ad assumersi con chiarezza e senza meline le loro responsabilità si torna a vociferare –nientepopodimeno- di ripresentazione del testo del Senato che va semplicemente cestinato perché non è la legge che ha ridotto i parchi nella attuale condizione ma la politica avviata proprio in occasione del ventennale dalla Prestigiacomo e soci. Soci che oggi non possono cavarsela risciacquando i loro panni negli emendamenti sulla caccia, le aree contigue e altre manfrine mentre i parchi nazionali e regionali rischiano una deriva irrimediabile. E’ del ruolo dei parchi e del loro stretto rapporto con le realtà locali, regionali e nazionali che oggi si deve finalmente tornare a discutere come farà il Congresso mondiale dell’UICN di Sideny e ancor prima il lavoro in via di conclusione del Politecnico di Torino sul paesaggio come ponte tra ambiente e cultura –ponte demolito dal nuovo codice dei beni culturali.
E qui non giova neppure continuare come spesso si torna a fare anche da parte di alcune associazioni ambientaliste sui rischi che potrebbero derivare da un ruolo troppo marcato delle realtà locali quasi che in questi anni non sia stato proprio l’arrogante e spesso incompetente ruolo ministeriale a farci sfigurare e pagar dazio e non metaforico sul piano comunitario e internazionale.
Quando il ministro Orlando nella sua recente visita ad uno dei più importanti parchi regionali –quello di San Rossore- si augura che esso possa svolgere –visti i suoi risultati riconosciuti anche sul piano europeo- quindi per ‘merito’ un ruolo anche comunitario e nazionale coglie una potenzialità senza la quale anche i prossimi appuntamenti nazionali a cui si sta lavorando rischierebbero di portare a casa ben poco.
E anche qui è bene intendersi perché non bastano davvero qualche richiamo alla biodiversità o alla green-economy per sottoporre finalmente la vicenda dei parchi ad una seria riflessione politica, istituzionale e culturale la sola che potrà dirci anche senza trucchi e senza inganni cosa va ricondotto alla legge e cosa – e non sarà poco- alle malefatte e alle responsabilità della gestione a partire da Roma.