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Occorre ricordare la storia naturale della nostra specie, legata a questo pianeta, dove le leggi della natura governano il nostro futuro. Nei parchi sono leggi visibili, raccolte nelle culture stratificate del territorio. I parchi sono allora anche un fatto di cultura, che ritroviamo nel senso di chi abita un luogo, tradotto in paesaggio, e dove insieme alle dinamiche dell'abitare si muovono vita ed economia. Abbiamo bisogno di rinnovare allora il nostro modo di parlare di aree protette e di natura, con nuove visioni e un nuovo modo per comunicarle.

Ma i parchi si occupano di “conservazione della natura” o di “beni collettivi locali”? Salvatore Settis, Anna Natali, i Beni comuni e la questione dei “mestieri del paesaggio”.

Marcello Maranella nel suo post su Salvatore Settis, intervistato da Fazio per la presentazione del libro “Paesaggio Costituzione Cemento” (di cui già Renzo Moschini ha fatto segnalazione su greenreport.it), ci ha ricordato un interessante momento di confronto sul nostro Bel Paese ed ho scoperto che l’intervista è scaricabile dal sito di Einaudi che rinvia a quello della RAI (intervista Settis) .

Davvero un’occasione ghiotta per prendere contatto con un approccio forte e non banalmente legato alla “difesa della natura”, perchè legato invece alla questione paesaggio come problema di identità nazionale. Questione di valore da “Carta Costituzionale”. Insomma una questione intorno alla quale si fonda la natura di uno Stato.

E’ da riascoltare l’intervista, perchè si fa riferimento fra il resto a due fatti che, avvicinandosi l’Assemblea di Firenze del Gruppo di San Rossore, trovo utile sottolineare e richiamare: il concetto dei “beni comuni” e quello dei “mestieri”.

1. Sui beni comuni Settis ci ricorda che parlando di paesaggio si parla appunto di beni comuni ed a questo proposito è utile riproporre gli interessanti spunti che proprio sul tema una studiosa attenta e raffinata come Anna Natali di Eco&Eco, ha da tempo elaborato e riassunto. Di cosa si sta parlando? Parliamo della nozione di Capitale territoriale, un concetto sul quale occorre spendere alcune parole riprese dal testo di Anna Natali “Aree protette e beni collettivi locali: un programma di ricerca”. ( Aree_protette_e_bcl_2010).

Prima di tutto occorre partire dal sapere che: “ …… le istituzioni pubbliche territoriali, tra cui i Parchi, sviluppano per loro natura politiche ed azioni place-based, rivolte ai luoghi. Nei Parchi l’approccio vale tanto per la tutela quanto per la promozione economica: le risorse protette sono fisiche e legate a equilibri locali; le attività umane sono espressione di ambienti sociali dove le relazioni e le propensioni culturali presentano un loro peculiare timbro e carattere. Le istituzioni place-based agiscono spesso come enti intermedi tra il Locale e il Centro, e questa posizione le impegna contemporaneamente su tre fronti: (i) cucire in verticale le iniziative di ministeri e assessorati con quelle dei soggetti locali, pubblici e privati; (ii) cucire in orizzontale gli interventi settoriali, spesso decisi altrove, che nel locale vengono a contatto; (iii) sviluppare iniziative e interventi originali, tagliati sulla propria visione dei bisogni prioritari del territorio. Si tratta di compiti delicati e importanti, come ha chiarito la letteratura sullo sviluppo locale. Ovunque insistano economie di agglomerazione (distretti industriali, sistemi produttivi locali, città, distretti culturali, distretti rurali), le istituzioni intermedie sono attive nella progettazione di interventi pubblici in grado di valorizzare le esternalità positive, correggere le esternalità negative e rimuovere i colli di bottiglia, tradurre le politiche nazionali e regionali in investimenti adatti alle attitudini locali.

Ora, una sintesi dei principali fattori che incidono sullo sviluppo locale e dei concetti di riferimento delle istituzioni place-based, è stato proposto dall’OCSE alcuni anni or sono con la nozione appunto di “Capitale territoriale”: “Questi fattori possono includere la localizzazione geografica dell’area, la sua dimensione, la dotazione dei fattori di produzione, il clima, le tradizioni, le risorse naturali, la qualità della vita o le economie di agglomerazione delle città, ma possono anche comprendere gli incubatori d’impresa e i distretti industriali o altri reti tra imprese che riducono i costi di transazione. Altri fattori possono essere le ‘interdipendenze non di mercato’ quali conoscenze, costumi e norme informali che permettono agli attori economici di lavorare insieme in condizioni di incertezza, o la solidarietà, l’aiuto reciproco e la cooptazione di idee che spesso si sviluppano nei gruppi di imprese piccole e medie che operano nello stesso settore (capitale sociale). Infine, seguendo Marshall, vi è un fattore intangibile, ‘qualcosa nell’aria’ chiamato ‘atmosfera’ che è il risultato di una combinazione di istituzioni, regole, pratiche, produttori, ricercatori e policy maker che rendono possibile una certa creatività e innovazione.” OECD (2001) Territorial Outlook, Paris.

Bene, da questo concetto è interessante partire per vedere coma la Natali nel suo lavoro ci stimola a ragionare intorno ad un insieme di aspetti che di seguito riprendo e che sono certo molti operatori dei parchi ritrovano nel loro operare: E’ possibile riconoscere punto per punto, negli argomenti sul capitale territoriale e i beni collettivi locali, elementi di forte e diretto interesse per le aree protette. (…..) Per riassumere: l’azione del Parco è rilevante per l’economia locale quando contribuisce alla conservazione, alla riproduzione, alla creazione di componenti materiali o immateriali del capitale territoriale, in particolare concentrandosi sui bei collettivi locali: quei beni e servizi di cui le imprese locali hanno necessità per stare sul mercato, o da cui traggono vantaggi comparati, ma che da sole non riescono a produrre.” E poi ancora: “ Nel processo di produzione dei beni collettivi, gli enti di gestione dei Parchi possono giocare una varietà di ruoli. Possono occuparsi del coordinamento o della direzione lavori, o dare il proprio sostegno e collaborazione a un altro ente pubblico locale che se ne assuma la responsabilità. Sono naturalmente coinvolti nel fornire le risorse giuridiche necessarie, col dare autorizzazioni ma anche col cercare attivamente soluzioni ammissibili e adeguate al particolare regime di tutela delle aree. Sono in prima linea nel fornire conoscenze sulle compatibilità e sulle capacità di carico, soprattutto quando sono in gioco risorse naturali vulnerabili. Possono dare un contributo finanziario diretto o adoperarsi per attirare risorse finanziarie aggiuntive nell’ambito di programmi europei e nazionali.”

Questa prospettiva penso che ci permetta di collocare in senso chiaro e forte la questione del rapporto fra parchi ed economia, che è uno degli aspetti che il Gruppo di San Rossore ha messo sul tavolo, ma nel senso più esteso e profondo che la Natali ci propone, e che è riassunto nell’affermazione sempre sua: I responsabili delle aree protette non si muovono “tra conservazione e business” (tradotto, “tra Stato e mercato”), come un convegno titolò qualche anno fa, ma, come ogni altra istituzione pubblica territoriale, tra conoscenza e non conoscenza dei bisogni delle società locali, e tra capacità e incapacità di costruire risposte adeguate.”

Con questo spirito credo si possa affermare un vero ruolo delle aree protette nell’agire territoriale, e ripensare ad un loro ruolo sociale ed economico aiutati da concetti e analisi come quelli ripresi dagli approfondimenti di Anna Natali. Ma vi è poi una seconda questione. La questione delle competenze ovvero dei mestieri.

2. Sui mestieri e le competenze. Sempre la Natali ci dice, a proposito della “produzione dei beni collettivi”: ……. “ Le istituzioni pubbliche territoriali che si impegnano nella produzione dei beni collettivi locali svolgono una funzione essenziale: si fanno carico di attività che le imprese non sono in grado di svolgere da sole, e portano a buon fine realizzazioni talvolta assai complesse. In ciò esse esprimono un ruolo centrale per il funzionamento economico: coordinare e mobilitare risorse al di là della capacità auto-organizzativa dei singoli soggetti. Il compito richiede impegno ed esercizio di responsabilità. Come è stato detto con riferimento ai beni pubblici in generale:

Si tratta del problema di coordinare gli sforzi per un bene comune, quando richiede ingenti risorse e un lungo tempo di produzione, per ottenere il quale non basta che tutti siano ben disposti a contribuire e a collaborare, ma è necessario che qualcuno prenda in mano la ‘direzione dei lavori’” (Arrighetti e Seravalli 1999, p. xxi)”. I soggetti che occorre coinvolgere e tenere assieme per la realizzazione del bene sono di norma numerosi e variegati. Comprendono attori pubblici e privati, singoli e collettivi, locali e non locali. Una recente ricerca valutativa della Regione Emilia-Romagna (2009) ha esplorato proprio i processi di attuazione dei beni collettivi, giungendo a riconoscere il ruolo fondamentale della “direzione lavori”. La ricerca ha analizzato in particolare i processi di attuazione di quindici investimenti in diversi settori di intervento, dall’economia al sociale all’ambiente. In ognuno dei casi la produzione del bene è risultata da una combinazione di risorse rese disponibili da una pluralità di soggetti dell’ambito locale ed esterni; risorse riconducibili a quatto fondamentali categorie: risorse giuridiche (autorità amministrative, competenze a decidere, diritti), risorse finanziarie (risorse pubbliche di enti locali ed extralocali, fondi privati, contributi di Fondazioni e altri organismi del privato sociale), risorse cognitive (conoscenze e competenze tecniche, know-how, modelli di intervento), risorse politiche o di consenso (affermazione o riconoscimento di priorità, adesione, sostegno, disponibilità a cooperare). La funzione di “direzione lavori” ha provveduto a reperire, mobilitare e far agire in modo coordinato questi diversi tipi di risorse, dando loro finalizzazione e coerenza. La regia ha fatto capo talvolta a dirigenti politici, talvolta a dirigenti amministrativi, talvolta a esperti e tecnici incaricati dei progetti. Queste figure hanno interpretato il compito a tutto campo, responsabilmente quanto creativamente, lavorando per la raccolta delle informazioni, l’acquisizione del consenso, il vaglio delle alternative praticabili, il governo dell’attuazione.”

Ora, questa capacità di dirigere i lavori fa il paio con le parole di Settis nella sua intervista quando richiama, anche a tinte forti, la questione delle competenze e del chi è chiamato a gestire i beni comuni. Quali conoscenze, quali competenze, quali formazioni sono chiamate a fornire il loro bagaglio culturale per gestire questi processi? E qui emerge un tema che è quello delle professioni che debbono occuparsi di aree protette ed in generale di ambiente. Specialità, professioni e capacità che in parte devono venire da un ampio spettro di competenze, dove quelle della natura devono trovare un dignitoso ruolo che oggi non è ancora per nulla acquisito, ma dove accanto a queste si devono anche trovare altre capacità, come quelle economiche, sociologiche, antropologiche dello studio del paesaggio e delle discipline storiche e del progetto.

Si tratta di un tema cardine delle questioni che siamo chiamati ad affrontare e che avevo già tentato di riassumere nel contributo in “Parchi e istituzioni: novità e rischi” dedicato all’argomento “Mestiere di parco. Discipline e professionalità per la gestione delle aree protette”.

Quindi riflettiamo bene quando si parla di area protetta, perchè di che si parla è chiaro, ma non a tutti, e dotiamoci inoltre  dei saperi necessari, che sappiamo quali essere, ma non è così altrettanto noto a tutti.

Pubblicato il da Ippolito Ostellino | Lascia un commento

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