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Occorre ricordare la storia naturale della nostra specie, legata a questo pianeta, dove le leggi della natura governano il nostro futuro. Nei parchi sono leggi visibili, raccolte nelle culture stratificate del territorio. I parchi sono allora anche un fatto di cultura, che ritroviamo nel senso di chi abita un luogo, tradotto in paesaggio, e dove insieme alle dinamiche dell'abitare si muovono vita ed economia. Abbiamo bisogno di rinnovare allora il nostro modo di parlare di aree protette e di natura, con nuove visioni e un nuovo modo per comunicarle.

I PARCHI “VENT’ANNI DOPO……”.

6 dicembre 2011 – 6 dicembre 1991. La legge sulle aree protette italiana (legge 394 6.12.1991) firmatario  l’On l’Avv. Gianluigi Ceruti,  vede la luce proprio nel dicembre di 20 anni fa. Come non segnare con un ricordo questo momento? Come non pensare e guardare a questa esperienza proprio ora? Ora che il tema ambientale è divenuto centrale nel nostro Pianeta? Ora che avvertiamo l’urgenza di riflettere sul futuro? Ora che il Presidente Giorgio Napolitano ci incita a pensare ad un Nuovo Risorgimento, dove proprio le nostre risorse territoriali, le capacità di creatività del sapere Italiano e le nostre unicità dovrebbero essere messe in primo piano?

Lo si può fare in tanti modi. Certamente l’allarme-augurio lanciato dall’AIDAP, con il recente messaggio pubblicato sul sito dell’associazione ( intervento del Presidente Martino ), è uno dei modi più vivi per ricordare una esperienza importante, che troppo spesso è rimasta chiusa in circoli riservati o in modalità di comunicazione che hanno purtroppo svelato solo il lato degli ambienti incontaminati, della natura raccontata e fotografata, mentre vi è bisogno di rilanciare la realtà dei parchi con altri e nuovi linguaggi meno emozionali ma più concreti, di una natura vissuta e vicina al nostro quotidiano.

Parlarne significa innanzi tutto parlare di troppo fallimenti, che non possono essere messi a sfondo del dibattito, visti i pochi risultati positivi ottenuti ad oggi a livello di sistema nazionale. Occorre partire di qui se volgiamo guardare in volto la realtà, senza cedere al pessimismo ma per essere concreti. Un sistema che già dalla nascita aveva fatto fatica a partire ed a essere riconosciuto:  lo testimonio personalmente avendo partecipato nel 1990, come componente dell’allora Coordinamento dei parchi regionali, ai dibattiti a Firenze dove si tentava di ricordare alla politica di allora di non fare una legge fatta di soli parchi nazionali ma aperta anche al sistema regionale che nel ’90 aveva raggiunto numeri e dimensioni ben più forti dei parchi nazionali.

Prima di tutto il nostro Paese non si è dotato del documento quadro che avrebbe dovuto far parlare parchi e territorio: è la Carta della Natura, strumento e programma che avrebbe dato modo anche di poter recepire con maggiore unitarietà ed efficacia il sistema del rete Natura 2000, che invece rappresenta il secondo fallimento, essendo stato un progetto tutto sulla carta e solo a spizzichi e bocconi diventato anche un progetto di gestione del territorio, oggi sostanzialmente non integrato con la politica delle aree protette.

Secondo: altro fallimento è stato l’avvio del sistema delle aree marine protette, rimasto quasi una realtà diversa, un altro modo di gestire luoghi di grande valore ecologico, senza avere lo status di enti, senza avere una omogeneità nazionale di gestione, senza essere un sistema. E questo è accaduto alla più grande ricchezza che nostro paese: il Mare e le sue Coste.

Terzo: il quadro fornito dalla 394 non è stato accompagnato nelle sue ricadute locali sino alle legislazioni regionali, determiando un sostanziale disordine nazionale sui modelli di gestione. Lo stesso sistema di classificazione, che avrebbe potuto trovare declinazioni e miglioramenti a livello regionale, è invece divenuto ostacolo a progetti di tutela unitari, come accaduto al Piemonte con la vicenda recente delle zone di salvaguardia del Po.

Quarto: anche quando previsto da leggi o documenti di indirizzo le politiche dei parchi non si sono integrate con le altre politiche. Sono rimaste troppo spesso politiche settoriali, a carico dell’Ambiente quale delega amministrativa, dialogando poco o male con i settori del turismo, sociali, dell’urbanistica, dell’educazione e dello sviluppo. Si sono così perse opportunità e si sono in qualche modo anche relegate le aree protette in un isolamento che è stato poi elemento di loro eccessiva debolezza.

A queste carenze, certo, si sono opposte le passioni: il mondo professionale e della cultura politica dei parchi ha prodotto tanto, ha costruito esempi virtuosi, ha spinto in avanti il confine della gestione, creando occasioni e modelli importanti, con esperienze riconosciute a scala europea o mondiale. Ma tutto ciò è stato ed è un patrimonio interno che non è stato accreditato in modo solido, rimanendo così in balia degli orientamenti politici di questo o quel momento. Solo un dato per esempio: non esiste, per un comparto che oggi tutte le grandi organizzazioni mondiali considerano strategico per il nostro futuro come quello della biodiversità e degli equilibri ecologici,  un provvedimento di bilancio dello stato che destini ad esso risorse stabili, come non esiste un modello gestionale che permetta anche di ricavare risorse dai territori, in cooperazione con le imprese e le economie del territorio (ed anzi questo secondo percorso è visto da molti come un pericoloso scivolare dei parchi sul terreno del mercato, terreno dal quale, secondo alcuni, dovrebbero stare distanti e separati).

A questi risultati non incoraggianti hanno certamente contribuito le carenze di attenzione che tanti governi hanno riservato ai parchi, ma anche gli atteggiamenti di scarso dialogo fra parchi e movimenti a loro favore sul territorio: un dialogo fra mondo dell’ambientalismo locale e organi di gestione dei parchi che hanno visto vincere quel classico atteggiamento delle contrapposizioni che spesso in Italia prevale sulla capacità di dialogare e lavorare insieme. Un fallimento che si accompagna alla dichiarata inefficacia dello stesso piano di Countdown 2010, per il quale gli impegni assunti non sono stati del livello e della incisività necessari a fermare la decrescita di diversità e di qualità ecologica del Pianeta, certamente anche per l’insieme di alcune delle criticità prima descritte.

E quindi occorrerebbe cambiarla questa 394? Credo di no. Occorre invece applicare i suoi diversi passaggi, sviluppare la gestione che da quella legge si potrebbe far discendere e poi dopo, solo dopo, mettere mano a modifiche. Credo solo fatta eccezione per le aree marine protette, che dovrebbero passare ad Enti ed a una organizzazione strutturata. Anche l’impegno per costruire di nuovo un tavolo nazionale, con la ripresa della consulta nazionale, dovrebbe essere l’elemento da rivalutare e da reinserire.

Per rilanciare allora ci vorrebbero anche nuovi linguaggi  e non solo risorse, che sono sempre di più da ricercare anche nel territorio e non solo nelle casse dello Stato, sempre più in difficoltà.

Il linguaggio della rete, della condivisione delle conoscenze e della partecipazione fra tutti, pensando alla cogestione delle risorse con organizzazioni, soggetti diversi ed enti di gestione. Un approccio quindi più inclusivo e di dialogo con i cittadini e meno di sapore da ….. “parco poliziotto”.

Il linguaggio delle istituzioni, dell’organismo che assume un ruolo sul territorio nel quale la difesa della natura si declina in progetti di cooperazione, appunto, con i settori del turismo, sociali, dell’urbanistica, dell’educazione e dello sviluppo. Un ruolo che si guadagna quotidianamente con il lavoro e la costruzione dei progetti, lavorando molto sul territorio, nelle istituzioni, nei momenti culturali di promozione esterni e poco dentro il confine del parco.

Il linguaggio dell’economia, di un ente che costruisce alleanze con le economie del territorio, con le imprese, con le associazioni di cittadini che fruiscono del territorio e che lo vivono. Quindi parchi che con le economie territoriali costruiscono progetti comuni, sistemi gestionali innovativi e momenti di cooperazione.

Insomma linguaggi per comunicare di più e meglio sia i risultati positivi presenti, ma soprattutto le cose da fare per applicare la 394 disapplicata. Comunicare meglio vuol dire anche indire la III Conferenza Nazionale delle Aree protette, e finalmente richiamare l’attenzione. Un appuntamento che giocato bene potrebbe contribuire di certo al rilancio e ripartire dal dibattito avviato con l’ormai troppo lontana II Conferenza di Torino.

Ma per i linguaggi nuovi ci vogliono nuove culture. A queste siamo chiamati a contribuire, come ad esempio fa il gruppo di  San Rossore (www.grupposanrossore.it)  per dare vita ad un nuovo ventennio, che sia un Nuovo Rinascimento anche per la Natura.

Pubblicato il da Ippolito Ostellino | Lascia un commento

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